Ultimo arrivato in ordine di tempo in Centrafrica è fratel Angelo Sala, che dopo una vita trascorsa tra il lavoro (odontotecnico) e la passione per la moto (memorabili i suoi viaggi nel deserto!), dopo un periodo di volontariato, ha deciso di entrare nella congregazione e, divenuto fratello, di partire per la missione di Niem (prima) e attualmente di Bouar.
Sono arrivato in Centrafrica nel 1996 come laico e dopo 5 anni di volontariato, durante i quali frequentavo padre Tiziano Pozzi e la comunità betarramita di Niem, ho deciso di diventare religioso. Sono rientrato in Italia, ho fatto la mia formazione nella congregazione del Sacro Cuore di Gesù di Bétharram e durante il periodo del mio noviziato, trascorso a Monteporzio Catone nella nostra casa di accoglienza dei malati di Aids, è nata l’idea di creare un progetto per prendere in carico in modo globale i malati di Aids nella Repubblica Centrafricana.
Il progetto – elaborato insieme a padre Mario Longoni, direttore della casa-famiglia di Monteporzio - è stato pensato per il territorio di Bouar, che è una delle prefetture della Repubblica Centrafricana dove il tasso di infezione è più elevato; inoltre la nostra congregazione a Bouar ha due comunità. Quando poi sono tornato nel 2009 in Repubblica Centrafricana come religioso, con un’équipe italiana abbiamo preparato il personale che doveva lavorare nel centro ed è formato da tre infermiere professionali e diversi assistenti sociali che, oltre a fare un counseling pre e post test per Hiv, al pomeriggio effettuano visite domiciliari a casa dei pazienti e soprattutto di coloro che non hanno rispettato l’appuntamento, per vedere se assumono i farmaci in modo corretto.
Ormai anche in Africa l’Aids, infatti, grazie all’arrivo dei farmaci antiretrovirali, si può considerare una malattia cronica. Ma il grosso problema con la popolazione è appunto far passare il concetto di malattia cronica, che significa che i farmaci vanno assunti per tutta la vita. Invece la gente, una volta che si sente ritornata in forze e con una salute accettabile, pensa che tutto sia finito e lascia la terapia. Perciò il nostro Centro cerca soprattutto di sensibilizzare le persone ad avere una continuità di cura.
Effettuiamo anche visite prenatali alle ragazze in gravidanza, cui proponiamo il test dell’Hiv. Perché se la mamma è sieropositiva ma viene presa in tempo ed è fedele agli antiretrovirali, visto che il virus si trasmette anche da madre a bambino, le possibilità che il bambino nasca positivo sono poche. Cerchiamo anche di depistare il compagno della donna, ma non è sempre una cosa facile; ultimamente abbiamo pensato di ridurre a metà il prezzo degli esami se la donna si presenta con il suo compagno.
Beninteso: gli esami nel nostro Centro hanno un prezzo molto basso, che chiunque può permettersi senza dover incidere sul bilancio familiare. Poi per i malati presi in carico la cura antiretrovirale è gratuita, pagano solo una cifra simbolica per curare le eventuali infezioni opportuniste e in più – dato che anche l’alimentazione in questa malattia è molto importante – hanno la possibilità di avere un kit nutrizionale dai viveri Pam (Programma Alimentare Mondiale) che funge pure da incentivo per fargli rispettare l’appuntamento con le cure al Centro.
Finora abbiamo avuto circa 200 bambini nati negativi da madri sieropositive, grazie al trattamento antiretrovirale che la donna ha assunto in modo regolare. Un’ottantina di neonati attualmente è in terapia ed è in carico al Centro perché sono allattati ancora al seno e quindi hanno bisogno che la madre prenda gli antiretrovirali fino al secondo anno di età, quando il bambino sviluppa un sistema immunitario proprio e può sottoporsi al test per vedere se la terapia ha avuto successo.
Il Centro ha aperto nel 2010 e oggi abbiamo circa 900-1000 persone in carico: 630 sono sotto antiretrovirali, 200-250 altre assumono solo antibiotici e un’altra parte pur essendo positiva in questo momento non ha bisogno di alcuna terapia. Naturalmente in questi anni ci siamo fatti un’esperienza sia a livello psicologico, sia a livello medico per sostenere questi malati che hanno bisogno veramente di tutto. Non è sufficiente infatti distribuire farmaci o spiegare come si assumono, ma se hanno problemi familiari, di coppia o anche di abitazione, il Centro è sempre disposto a sostenerli.
Siamo la struttura sanitaria centrafricana per malati di Aids che ha più persone in carico in questo momento. Nel nostro Centro lavora sia personale europeo, formato da religiose, sia personale centrafricano formato da noi cui cerchiamo di trasmettere la nostra professionalità perché in un futuro possa continuare da solo quest’opera. In effetti la funzionalità del Centro e anche la sua affidabilità sono molto legate a un lavoro di équipe, una collaborazione che consente di offrire cure migliori ai malati. Questa impostazione ci ha permesso di ottenere risultati più che accettabili e cercheremo di migliorarli sempre più, in quanto ogni giorno ci rendiamo conto che veramente il progetto è un punto di riferimento per la popolazione in un Paese dove le istituzioni sono nulle e che ha vissuto una forte crisi politica e conflittuale.