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A Monza la mostra fotografica “Diamanti di sangue”

La Repubblica Centrafricana, primo Paese in Africa per povertà, possiede diamanti tra i più preziosi al mondo. Valutati centinaia di dollari per carato, i brillanti sono diventati simbolo della corruzione delle istituzioni ma non solo. Per estrarli, i minatori scavano a mano costringendosi a un’attività sfiancante, finiscono nella rete dei contrabbandieri e vivono in villaggi di fortuna dove i beni di prima necessità vengono venduti in sovrapprezzo ed è diffuso il consumo di alcol e la prostituzione. La promiscuità e le pessime condizioni igieniche  favoriscono la proliferazione di parassiti e la diffusione di malaria e malattie sessualmente trasmissibili come il virus HIV. Le gemme estratte in Repubblica Centrafricana ed esportate in mezzo mondo costano dunque alla popolazione in termini di sangue: quello versato nei conflitti per la corsa alla ricchezza del sottosuolo e quello inquinato dalle infezioni veicolate in questo contesto. Gli esperti non a caso parlano «blood diamonds», diamanti insanguinati da violenza e sopraffazione. Attraverso il sangue e la sua cura, però, anche i missionari betharramiti hanno generato diamanti, ma di tutt’altro genere rispetto a quelli del sottosuolo. Costruendo nella città di Bouar il Centro Saint Michel, specializzato nell’assistenza sanitaria per persone in AIDS e oggi considerato una eccellenza per la regione, i missionari hanno creato un «blood diamond», capace però di creare vera ricchezza per un intero popolo.

 

Dal 16 al 24 giugno 2018 presso lo spazio espositivo Urban Center del Teatro Binario 7 di Monza una mostra fotografica firmata da Vittore Buzzi racconterà tutto questo seguendo anche la storia tipo di un minatore centrafricano che – dopo essere stato a contatto con le gemme del sottosuolo – si rivolge al Centro Saint Michel per curarsi dall’AIDS contratto sul posto di lavoro, passando, nell’arco di una vita, da un diamante all’altro.

 

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