Il 30 maggio è iniziato l’anno dedicato a padre Auguste Etchécopar, considerato il “secondo fondatore” della congregazione del Sacro Cuore di Gesù di Bétharram. Fu questo religioso, infatti, superiore generale dell’istituto dal 1874 al 1897 a sistematizzare l’opera spirituale di San Michele, lavorando per l’approvazione delle Costituzioni a Roma. La causa di beatificazione di padre Etchécopar è attualmente in corso. Per far conoscere la sua figura ogni fine mese padre Alessandro Paniga, superiore della comunità italiana di Albiate, propone testimonianze di quanti hanno conosciuto il religioso, desunte dalla “Positio super virtutibus” presentata a Roma in vista della beatificazione e canonizzazione.
di padre Alessandro Paniga
“Abbiamo i tre voti semplici: viva la santa Povertà religiosa! Quale gioia nell’esserne impegnati. Possa diventare il nostro tesoro di predilezione” (padre Augusto Etchécopar alla sorella suor Giulia il 3 novembre 1875 quando la Santa Sede autorizzò i voti religiosi)
Dalle testimonianze di quanti lo hanno conosciuto
“Padre Etchècopar praticò in modo eccezionale la virtù della povertà. Lui, figlio di una buona famiglia borghese, volle essere ricco solo alla maniera di Gesù Cristo che non aveva neanche una pietra sulla quale posare il capo. Effettivamente il Servo di Dio si impegnò in tutta la sua vita ad imitare nel modo più perfetto possibile colui che nacque in una mangiatoia in prestito, e si distaccò di più in più dai beni terreni per attaccarsi più liberamente a quelli del cielo. Già, non ancora sacerdote, prima di fare il voto di povertà, aveva scelto come uno dei suoi patroni il povero d’Assisi, il poverello. Fu così contento, quando l’approvazione delle nostre Costituzioni che implicavano il voto di povertà, che tagliò netto la pratica del “peculio”, al fine di ritrovarsi così nella felice obbligazione di essere povero in spirito e verità… Non teneva a suo uso personale i regali che le persone di fuori gli offrivano; metteva tutto in comune. Una delle sue sorelle, sempre ansiosa per la salute del suo caro fratello, gli inviò un giorno alcune bottiglie di un buon vino cordiale; il vino passò subito all’infermeria. Non accontentandosi di mai mancare materialmente al voto di povertà, si impegnava a vivere veramente la virtù della povertà che considerava il fondamento necessario della vita religiosa… Per lui un eccellente modo di praticare la povertà era il lavoro: non perdeva mai un momento, tanto che comunemente si credeva che avesse fatto il voto di non restare mai inoperoso per non privare in niente la comunità: se non pregava era occupato… ma lavorava con delle vedute così soprannaturali che il suo lavoro era una fervente preghiera, un modo per rendere alla comunità quello che la comunità dava a lui”. (Padre Francesco Carrère)
“Fu un terziario francescano fino all’approvazione dei voti da parte di Roma e direttore ufficiale dei terziari membri della Congregazione. Si adoperò per stabilire il voto di povertà e per sopprimere ogni “peculio”, lui ricco di famiglia. Quale non fu la sua gioia quando emise i suoi primi voti! Per il nutrimento e il vestiario, seguiva la vita comune, indifferente a tutto, ma impegnato nel distacco più assoluto. I suoi mobili erano semplici, non voleva poltrone di lusso e nella sua camera non c’erano che sedie di legno. Esigeva da tutti questa povertà, e col suo esempio attirava gli altri a questa virtù” (Padre Stefano Domec)
“Il Servo di Dio ebbe in tutta la sua vita uno straordinario amore per la povertà, sentendo il bisogno di liberarsi e spogliarsi di più in più di ogni cosa per imitare il più perfettamente possibile Nostro Signore Gesù Cristo. Benché di famiglia agiata, si affezionò molto presto alla povertà; appena ordinato sacerdote l’abbiamo visto prendere come uno dei suoi patroni san Francesco d’Assisi, a motivo della sua povertà e umiltà… Quando nel 1875 da Roma ricevette le Costituzioni che aveva inviato e l’autorizzazione per lui e per l’Istituto di fare il voto religioso di povertà, il suo animo fu inondato di una gioia indicibile. Questa gioia la espresse nelle circolari e nelle conferenze ai suoi religiosi, nella sua corrispondenza. E così il 3 novembre scrisse a sua sorella, suor Giulia: “Abbiamo i tre voti semplici: viva la santa Povertà religiosa! Quale gioia nell’ esserne impegnati! Possa diventare il nostro tesoro di predilezione!” (Padre Pietro Fernessole)
“Mostrò in tutta la sua vita un grande amore per la povertà che raccomandava ai suoi religiosi e che all’occorrenza faceva applicare”. (Padre Massimiliano Tucou)
Grazie e miracoli
“Monsignor Jauffret disse: «Quando cerco un volto di santo, il mio sguardo si ferma su padre Etchècopar: ha uguagliato il fondatore nella pratica eroica delle virtù, l’uguaglierà un giorno, lo speriamo, nel responso che la Chiesa darà su di loro”. E monsignor Touchet non esitò a scrivere: «Raramente ho incontrato qualcuno che mi desse come lui l’impressione della santità». Cinquant’anni dopo la sua morte, la sua memoria è ancora una benedizione; si va a pregarlo sulla sua tomba; lo si invoca con un fiducioso fervore; gli si chiede delle grazie spirituali e materiali; si fanno delle novene per implorare la sua intercessione; gli si attribuiscono dei miracoli di conversioni e di guarigioni. Così, per esempio, il comandante Cassou, vecchio allievo di Bètharram, gli attribuisce la grazia della sua conversione; padre Labord-Debat, missionario in Cina, un miglioramento molto sensibile in un caso gravissimo; una persona degli Alti Pirenei, la sparizione di un’ulcera allo stomaco dopo una novena; un piccolo parente di padre Etchècopar, in Argentina, la completa guarigione da una malattia mortale… Ultimamente ci è stata segnalata dall’America la guarigione, dopo una novena, da un cancro giunto all’ultimo stadio. I tre medici, che hanno assistito il malato, hanno chiesto loro stessi di constatare ufficialmente il “miracolo”, affermando che quella guarigione con i solo mezzi umani era assolutamente impossibile”. (padre Francesco Carrère)
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