«Sono andato a cercare gli italiani che credono che essere italiani non sia stare con le porte chiuse. Anziché lo slogan ‘prima gli italiani’ questi sono italiani primi ad aiutare» dice Mario Marazziti, giornalista e storico portavoce della Comunità Sant’Egidio che ha appena pubblicato per Piemme un libro (Porte aperte, 18,90 euro) in cui racconta le esperienze di accoglienza rese possibili dai corridoi umanitari. Il progetto (promosso dalla Sant’Egidio insieme alla Cei e alle Chiese evangeliche e che ha coinvolto almeno 25mila persone) prevede che alcuni italiani – gruppi, comunità o singoli – diano la loro disponibilità per ospitare rifugiati e richiedenti asilo. Tra quelli che l’hanno fatto e che sono stati raccontati nel libro di Marazziti c’è pure la casa-famiglia betharramita “Villa del Pino”, che dal 2016 ha scelto di ospitare alcune famiglie proprio attraverso i «corridoi umanitari». Qui oggi vivono nove siriani ma il «corridoio di Monte Porzio comincia il 29 febbraio 2016. È il primo, comincia in un anno bisestile. Lo racconta padre Mario Longoni. “Sono arrivati Shamo, con la sorella e la zia anziana. Avevo dato disponibilità alla Comunità fino a sette persone, magari cominciando con meno. L’accoglienza era fattibile. Le persone venivano scelte prima. Ognuna arrivava motivata. C’era un patto. Entravano da noi per uscire da un passato terribile. Noi potevamo accompagnarli. Nel nostro caso quella prima famiglia era composta da persone che erano cresciute in ambiente cristiano. Erano cristiani. Adesso sono in Svezia e mi mandano le foto, ci parliamo per WhatsApp. Poi sono arrivate una famiglia cristiana e un’altra musulmana, e due nonne. (…) All’inizio la casa era divisa in due da una porta, per favorire due autonomie differenti. Ma quella frontiera fatta da un muro e da una porta dentro la stessa casa, che separava le due famiglie, dopo un episodio di malattia che ha avvicinato le due famiglie, è aperta. E fanno va e vieni dall’una e dall’altra parte della casa. Adesso vivono insieme“».