Dal Paraguay in occasione del mese missionario ci scrive padre Tobia Sosio, originario dell’Alta Valtellina ma da anni al lavoro presso il collegio San Michel Garicoits ad Asuncion.
Il mese missionario non può limitarsi solamente a ricordare o sostenere i missionari sparsi per il mondo. Il principale obbiettivo invece è ricordare a tutti che, se non siamo missionari, non siamo neanche cristiani.
Papa Francesco, con la sua insistenza per una Chiesa in uscita, vuole proprio questo: cristiani coscienti e generosi nel rispondere alla chiamata di Gesù che sembra quasi un ordine quando dice «andate».
Coscienti che tutti abbiamo una missione da svolgere e quindi, se restiamo fermi nel nostro comodo, diciamo no a Gesù. È importante anche renderci conto che il missionario non è solo colui che va lontano, ma è anzitutto colui che esce da se stesso, colui che vive la sua vita non come un tempo da possedere, ma come un tempo da donare. Quindi è missionaria la mamma e il papà quando si donano ai figli e si donano l’un l’altro; è missionario il professionista che condivide i suoi talenti e le sue capacità per il bene comune; è missionario il giovane che dona il suo tempo e il suo entusiasmo in attività di volontariato: tutti possiamo e dobbiamo diventare missionari.
Ma il missionario è felice? Che cosa vuol dire Gesù quando dice che c’è più felicità nel dare che nel ricevere? È il grande apostolo missionario, san Paolo, che ricorda ai suoi discepoli questo insegnamento del Maestro.
Son passati quasi 45 anni da quando mi proposero una forte esperienza di missione in terra africana, in Costa d’Avorio nel seminario minore di Katiola. Qualcuno interpretò questa uscita come un castigo, invece la vidi subito come un’opportunità e infatti sono stati due anni preziosi perché uscire dai progetti personali e aprirsi agli altri arricchisce enormemente. Succede più facilmente a colui che parte verso realtà differenti dal vivere quotidiano, ma è la stessa esperienza che fa chiunque ama, perché l’amore è innanzitutto un dono di se stessi e rende felici. Io posso testimoniare che sì, la missione rende felici.
Se educare viene da e-ducere, che in latino significa «uscire fuori», è evidente che più che insegnare a restare bisogna insegnare ad uscire, anzitutto dal proprio ego. Chiunque abbia fatto anche solo una corta esperienza di impegno missionario può testimoniare che è molto più ciò che ha ricevuto di ciò che ha potuto dare: immaginate dunque quanto ho ricevuto io in 45 anni di missione!
La cultura dell’individualismo – stile di vita diffuso a tutte le latitudini e tra le diverse classi sociali – è certamente il principale ostacolo alla missione, per questo occorre una conversione e la capacità di andare contro corrente. I modelli non ci mancano certo: sono tutti coloro che hanno inteso la vita come l’ha vissuta lo stesso Cristo e che sono santi e vivono nella felicità eterna. Come appare felice la Madonna del Magnificat, che ha saputo partire, senza dimora e senza tanti perché… e quanta vita ha saputo generare! Usciamo dal nostro ego e da quella comodità che genera tanti cristiani sterili e paurosi che invece di investire i propri talenti li nascondono sotterra, restando a mani vuote.
padre Tobia Sosio