Per la rubrica “Volontariato è” oggi vogliamo proporre la testimonianza di Maria Gaiera, che nel mese di maggio per due settimane è partita per la sua prima esperienza di missione per la Repubblica Centrafricana, insieme a suo padre Giovanni Gaiera, dottore infettivologo che da anni collabora e visita il centro di cura Saint Michel di Bouar
La prima esperienza africana per una giovane ragazza, in realtà, credo, per chiunque, non può essere altro che qualcosa di indelebile; qualcosa che lascia il segno in modo più o meno profondo. Così è stato anche per me, che dopo tanti anni di grande attesa, sono riuscita a partire per l’Africa più precisamente per la Repubblica Centrafricana, per un periodo di due settimane. A circa un mese dalla mia partenza, i ricordi di quest’esperienza sono ancora carichi di emozioni al punto che ripescarli dalla memoria equivale a riviverli.
La mia esperienza credo non abbia nulla di grandioso rispetto a quella di tanti altri, eppure per me, ogni incontro, ogni momento, ogni pensiero ed ogni gesto sono stati talmente tanto singolari da farmi pensare una persona davvero fortunata per averli potuto vivere. Ho vissuto principalmente a Bouar, uno dei centri maggiori dello Stato, ho avuto il piacere, insieme a mio padre, di essere ospitata nella missione Saint Michel dei padri betharramiti: abbiamo vissuto insieme poco più di una settimana e condiviso le giornate tra il centro di cura S. Michel e altre missioni. Nei giorni passati a Bouar durante la mattinata grazie alla disponibilità delle suore della carità, ho trascorso del tempo con i bambini della loro scuola, a cui, tra un gioco e un canto, ho cercato di insegnare un po’ di inglese: infatti, nel paese si parlano la lingua francese e il sango, e non conoscendo nessuna delle due, ho cercato di offrire la mia (seppur non eccellente) conoscenza della lingua inglese. Con i bambini della scuola è stata davvero un’onda anomala! Infatti mi hanno completamente travolta con la loro forza e con la loro felicità; mi hanno trasmesso, con gesti che inizialmente possono sembrare banali e semplici, una serenità e una genuinità che spesso nei paesi occidentali, come l’Italia, sono difficili da trovare! Questi bambini sono stati per me uno spunto su cui riflettere e da cui imparare, potrebbe risultare contraddittorio ma penso, e sono sempre più convinta, che siano stati loro ad insegnare a me tantissime cose piuttosto che il contrario.
Dopo esser tornata dalla scuola, nel pomeriggio ho cercato di rendermi utile in differenti lavori presso il centro di cura Saint Michel, dove principalmente mi occupavo, insieme a suor Morena (che con suor Rita ha vissuto per quattro anni al Centro Saint Michel), di sistemare gli archivi e le cartelle cliniche dei pazienti. Qui ho potuto conoscere molte persone e sentire alcune storie di vita, che nella loro singolarità, mi hanno posto davanti alla “dura” Africa, quella che spesso viene associata alla povertà e alla miseria. Da molte di queste storie di vita, ho potuto imparare, oltre che ampliare le mie “vedute” e le mie “credenze” sul mondo, ad apprezzare molte cose che spesso ho dato per scontate. Ora, tornata in Italia, mi sento di appartenere, in qualche modo, anche se non so bene perché, anche al Paese africano. Sento di poter e di voler tornare nella “calda terra” e di sentirmi accolta come un lontano parente. Sento di voler tornare in Africa per poter continuare l’esperienza che, in queste due sole settimane, ho potuto solo assaporare. Auguro a tutti di poter vivere un’esperienza simile, seppur mai “uguale”, a quella che io, come tanti altri uomini e donne, giovani e meno giovani, ho avuto la possibilità di vivere.
Ciao Mamma Africa, a presto.
Maria Gaiera