«Forse siamo sopraffatti dalle minacce sociali, ecclesiali o planetarie che avvertiamo ancora dopo due anni di sofferenza dovuti alla pandemia. Molti di noi hanno l’impressione che gli uomini e le donne di questo mondo non abbiano imparato nulla. Ma è qui che entra in gioco la nostra identità». Lo scrive il superiore generale Gustavo Agìn nel consueto editoriale della Nef di settembre (che trovate qui) affrontando il tema della vulnerabilità in cui versa la vita religiosa. «Su con il morale! – continua padre Agìn – La vita religiosa non sta morendo, ma si sta trasformando, così come ha fatto attraverso molti cambiamenti nel suo lungo ciclo di vita dai tempi di Gesù. Una buona comunità betharramita, che cammina insieme ai laici, troverà sempre i mezzi, sarà pronta ad ascoltare un invito più profondo. Cercherà di trasformare la vita ordinaria (o abitudinaria…) e saprà discernere la chiamata di Dio verso una nuova vita. […] La vita religiosa risorgerà. Tuttavia ci sono decisioni difficili da prendere e non soluzioni rapide o soluzioni “pronte all’uso”. Tutte le opzioni che abbiamo richiederanno un duro lavoro. Non c’è modo di sfuggire a questo. Anche se una comunità, un Vicariato, una Regione o la stessa Congregazione dovessero un giorno terminare, ci rimane sempre la convinzione che Dio è con noi ed è la sua fedeltà che conta. Questo è stato il pensiero di San Michele il quale, mosso da una speranza incrollabile, consapevole della vulnerabilità degli uomini che incarnavano il “progetto Bétharram”, metteva tutto nelle mani del buon Dio che lo aveva tanto amato e che tanto desiderava e desiderava sempre più essere amato».
