Cos’è successo? A partire dall’ultima settima di settembre la Repubblica Centrafricana è tornata a essere teatro di gravi scontri e violenze. Tutto è cominciato dopo che il 27 settembre un tassista musulmano è stato ucciso nella capitale Bangui presso il quartiere centrale di PK-5, l’unico dal quale le milizie cristiane anti-balaka non hanno scacciato gli abitanti di fede musulmana. In reazione all’uccisione, attribuito alle milizie, gruppi di manifestanti hanno bloccato le strade della capitale erigendo delle barricate. Circa cinquecento detenuti sono fuggiti dal carcere Ngaragba e diversi edifici, tra cui gli uffici di organizzazioni umanitarie internazionali e luoghi di culto, sono stati saccheggiati. Per precauzione, la Repubblica Democratica del Congo ha chiuso le sue frontiere settentrionali con il Paese.
Le persone coinvolte Secondo le dichiarazioni ufficiali, almeno 27.400 persone hanno dovuto lasciare le proprie case in seguito a questi eventi. Tra queste, diecimila si sono rifugiate all’aeroporto della capitale, dove già si trovavano circa undicimila persone. Secondo Rupert Colville, portavoce dell’alto commissariato delle Nazioni Unite per i diritti umani, almeno 37 persone sono morte nei disordini e più di cento sono state ferite. Secondo una fonte ospedaliera, invece, tre manifestanti in marcia verso per chiedere le dimissioni della presidente ad interim Catherine Samba Panza sono stati uccisi e sette sono stati feriti dal fuoco dei caschi blu in missione nel paese. L’Onu ha però smentito di essere intervenuta sparando.
Da sapere Ricordiamo che già un decimo della popolazione centrafricana, circa 460mila persone, si trova attualmente rifugiata all’estero, principalmente in Camerun, Ciad, Repubblica Democratica del Congo e Congo. Entro la fine del 2015, si dovrebbero tenere le elezioni presidenziali e legislative, ma gli osservatori sono scettici sulla reale convocazione dei comizi.
Tentativi di pacificazione Da ieri a Bangui si moltiplicano i tentativi di riportare la pace e ridurre le tensioni in città. L’ultima iniziativa è stata un incontro che ha visto la partecipazione di diverse centinaia di cittadini – sia cristiani che musulmani – nel quartiere di Pk-5, proprio un centro coinvolto nelle violenze degli ultimi giorni. Nel corso dell’incontro – riferisce l’agenzia Misna – Ali Ousman, coordinatore delle organizzazioni islamiche in Centrafrica, ha sostenuto che gli eventi alla base della nuova fiammata di violenze siano stati “sapientemente orchestrati dai nemici della pace, uomini politici nostalgici del potere”. “L’unica soluzione è la pace, bisogna vivere insieme ai nostri fratelli cristiani”, gli ha fatto eco Mohammed Ali Fadoul, che guida il comitato di ‘autodifesa’ di Pk-5. A favore della pace è tornato a mobilitarsi anche l’arcivescovo cattolico di Bangui, monsignor Dieudonné Nzapalainga, che si è riunito nel fine settimana con i notabili di un’altra area della capitale, quella di Boy-Rabe. Un incontro nel quale il prelato ha dichiarato di aver visto “l’inizio della coesione sociale e della ricerca della pace”. L’iniziativa dunque, ha annunciato, verrà ripetuta in altri quartieri di Bangui. Intanto, come affermano alcune nostre fonti oggi presenti nella capitale, la vita ricomincia lentamente e anche l’aeroporto internazionale è stato riaperto.
E i missionari betarramiti? La situazione nella città di Bouar e nel villaggio di Niem dove sono presenti le nostre missioni rimane invece abbastanza tranquilla. Padre Beniamino Gusmeroli, intervistato da Mondo e Missione, ha dichiarato: «Siamo in attesa di vedere come evolve questa situazione. Ci sentiamo molto vicini alla popolazione e la gente, a sua volta, ci dimostra la sua vicinanza. È questa la nostra principale “protezione”. Sappiamo che se sta per succedere qualcosa ci sarà qualcuno che ci avvisa e che, per quello che può, ci protegge».