Sono oltre 5 milioni le persone che hanno lasciato l’Ucraina in guerra: un vero e proprio esodo a cui negli ultimi giorni si è aggiunto anche il viaggio di chi percorre il percorso inverso. Un milione tra coloro che hanno trovato rifugio in paesi stranieri, infatti, ha deciso di fare ritorno in Ucraina, nelle zone del Paese occidentali che sono libere dall’esercito russo, nonostante le raccomandazioni delle autorità e la situazione drammatica in cui si troverà chi rientra. Questo fenomeno di contro esodo, apparentemente difficile da capire, ha toccato da vicino anche la comunità betharramita Villa del Pino che due settimane fa aveva accolto in una delle sue strutture due famiglie fuggite dall’Ucraina in guerra. Giovedì queste mamme con tre bambini piccoli hanno deciso di ripartire e tornare in Ucraina. «A parte lo sconcerto – spiega da Monteporzio padre Mario Longoni – questo fatto mi ha indotto a considerare le differenti tipologie di ospiti che abbiamo accolto a Villa del Pino negli ultimi dieci anni e più ancora nei trent’anni di servizio di accoglienza che ha svolto la casa. Voglio dire che gli ucraini mi sembrano semplicemente degli “sfollati”: arrivati con mezzi pubblici, accolti a braccia aperte, magari anche da qualche politico o prelato che si è fatto fotografare, contando sull’aiuto pubblico e privato ma con il pensiero e il desiderio di poter tornare a casa, dove conservano le loro proprietà e i loro beni. Differente invece è l’accoglienza per i “rifugiati”, politici o per ragioni umanitarie: abbiamo accolto afghani, siriani, pakistani, africani arrivati attraverso i corridoi umanitari o ponte aereo e che, per il rischio di essere uccisi nel loro paese, hanno ottenuto presto il permesso di soggiorno in Italia che ha offerto loro una sorta di risarcimento per tutto quello che possedevano e hanno perso. Differente ancora è l’accoglienza dei “migranti” che cercano di arrivare in Europa, clandestinamente o meno: per ciascuno di loro c’è una vicenda personale, comunque segnata dalla sofferenza e dal dramma, comprese le ragazze ‘importate’, i giovani sfruttati e le madri anziane trascinate in un mondo alieno, e che hanno abbandonato tutto e non vogliono essere rimandati indietro e per i quali l’aiuto è trovare casa e lavoro. Infine ci sono i “naufraghi” salvati in mare: che hanno visto la morte in faccia e morire familiari, amici e compagni di viaggio, e tra questi ci metterei anche tanti ospiti della Casa Famiglia, e questi, anche se hanno trovato una spiaggia, non è detto che si siano sicuramente salvati perché per molti di loro, spesso, l’accoglienza non c’è ma trovano rifiuto e tante porte chiuse. Ecco perché accogliere, sì, è importante: ma bisogna avere una particolare intelligenza per differenziare le modalità. Credo che Villa del Pino – una casa, per sua natura, di accoglienza – lo abbia imparato a fare».