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P. Tiziano «Per il Centrafrica ancora nessuna via d’uscita»

Doveva essere il giorno di festa nazionale e invece il 1 dicembre si è trasformato in un momento di lutto per la Repubblica Centrafricana, sconvolta da due attacchi in pochi giorni nei villaggi di Batangafo e Alindao, a 900 chilometri da Bouar dove operano i missionari betharramiti. Lo scorso 15 novembre l’Unione per la Pace in Centrafrica (Upc), uno dei gruppi armati a piedi libero nel Paese nati dallo sfaldamento dell’ex coalizione Seleka, ha fatto razzia nella chiesa locale e ha poi ucciso 45 persone nel campo profughi allestito dal vescovo. Tra le vittime moltissimi cristiani e due sacerdoti tra i quali il vicario generale de

lla diocesi di Alindao, monsignor Blaise Mada. Il cardinale Dieudonné Nzapalainga in prima linea per la risoluzione del conflitto, dopo aver visitato il luogo dell’attacco, ha spiegato che «i campi per sfollati presso parrocchie cattoliche sono considerati punti di riferimento per i miliziani anti-balaka e di conseguenza, i sacerdoti e i vescovi protettori degli avversari e fornitori di armi e munizioni».

 

Abbiamo chiesto un aggiornamento della situazione a padre Tiziano Pozzi, sacerdote e medico nel villaggio di Niem, dove da mesi è installato un gruppo di ribelli: «In questi ultimi mesi la situazione va aggravandosi, soprattutto nella parte nord ed est del Paese: ne sono testimoni le diverse decine di vittime innocenti uccise nella più totale inerzia della Minusca, il contingente delle Nazioni Unite in principio destinato a garantire la sicurezza del Paese. Anche Niem, dal settembre 2017, appartiene al Centrafrica solo sulla carta geografica: in effetti tutta la nostra zona da allora è sotto il controllo del gruppo ribelle denominato 3R. Partendo dalla frontiera col Camerun la prima autorità pubblica si trova a Bouar, vale a dire a 170 km di distanza… In questo momento nel nostro villaggio ci sono una cinquantina di questi ribelli che non hanno neppure bisogno di girare armati tanto è assoluto il loro controllo sul territorio. L’arrivo di questi ribelli sta portando molti allevatori di etnia Mbororo, la stessa dei ribelli. Con loro arrivano arrivano anche numerose mandrie di mucche che necessitano di ampi spazi. Il risultato inevitabile è la devastazione dei campi della gente del villaggio, che non possono rivolgersi a nessuno per far valere il loro diritto di risarcimento; la presenza dei ribelli ha come effetto anche di bloccare i piccoli commercianti locali: appena qualcuno cerca di aprire negozietto, gli sono subito addosso».

 

«In tutta questa situazione noi godiamo di totale libertà di movimento e anche il nostro lavoro non è intralciato. Le scuole funzionano abbastanza regolarmente e i malati non mancano: anzi, in questo periodo non abbiamo mai un letto libero. Purtroppo non si vedono vie di uscita, almeno nell’immediato. Negli ultimi mesi il capo dei ribelli ha avuto bisogno delle nostre cure e così, conoscendo la sua lingua, ci ho fatto una chiacchierata. Non so se mi ha detto sempre la verità, ma temo che la loro occupazione durerà a lungo. Mi ha detto che non si fida di nessuno, tantomeno delle Nazioni Unite e che non deporrà mai le armi. Noi cerchiamo di fare del nostro meglio in difesa della nostra gente, anche se non è semplice».

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