Per la Repubblica Centrafricana – dal 2013 segnata da una guerra civile – quello firmato lo scorso 5 febbraio a Karthoum, in Sudan, è il settimo accordo di pace in sei anni. L’accordo di riconciliazione tra il governo e i 14 gruppi armati ancora a piede libero nel Paese promette da un lato la fine delle ostilità e il progressivo disarmo dei miliziani; dall’altro alimenta dubbi che l’intesa sia solo l’ultimo capitolo di un negoziato rivelatosi finora fallimentare visto che nessuno dei precedenti accordi ha garantito un ritorno alla stabilità in Centrafrica.
«C’è una concreta speranza che questa volta si tratti di un passo decisivo» ha spiegato a VaticanNews Mauro Garofalo della Comunità di Sant’Egidio che ha partecipato ai lavori di mediazione al fianco di Unione Africana, Nazioni Unite e ai governi della regione africana. Per la prima volta infatti i leader di tutti i gruppi armati hanno accettato di sedersi al tavolo della trattativa, cominciata nella capitale sudanese il 25 gennaio scorso.
Due i punti al centro dei dialoghi diplomatici. Innanzitutto, il problema della giustizia che i miliziani vorrebbero risolvere con un’amnistia nei loro confronti e che invece il governo centrafricano insieme alle organizzazioni internazionali non può legittimamente garantire. Il secondo problema riguarda invece il territorio caratterizzato da un’abbondante presenza di diamanti, uranio e oro che ancora oggi per il 75 per cento è sotto al controllo dei gruppi armati, i quali – si capisce – non hanno nessuna intenzione di rinunciare a queste ricchezze senza un’adeguata contropartita.
Abbiamo chiesto un commento dall’interno a padre Beniamino Gusmeroli, missionario betharramita a Bangui che proprio domenica ha incontrato il cardinale Dieudonné Nzapalainga, da sempre in prima fila per la risoluzione del conflitto. «Il cardinale in questa settimana sta facendo un giro fino alla città di Ndele proprio per capire com’è la situazione – ci spiega padre Beniamino – La gente chiede che sia fatta giustizia per i massacri e per le morti innocenti, sull’accordo ha poca fiducia ma spera sempre che sia la volta buona. Anche il governo è perplesso sull’intesa e il primo ministro teme un rimpasto di governo che lo estrometterebbe dalla sua carica».