Per la rubrica “Volontariato è…” valichiamo le Alpi e arriviamo in Francia da dove è partita Charlotte Ané, studentessa al quarto anno dell’Università agraria di Tolosa, per uno stage presso la fattoria didattica Tshanfeto in Costa d’Avorio
La fattoria pedagogica Tshanfeto – che significa «Alzati!» in lingua locale – è sorta nel 2000 a Yopougon, una città a circa 17 km dalla capitale Abidjan. L’hanno fondata i missionari betharramiti con l’obiettivo di formare giovani africani e dar loro gli strumenti per gestire una piccola azienda agricola con cui mantenere la famiglia e sviluppare progressivamente l’economia della zona.
Durante il mio percorso di studi dovevo decidere dove fare lo stage e la mia scelta è caduta sulla fattoria di Tshanfeto ad Abidjan. Sì, so che può sembrare una scelta particolare ma verso questa destinazione mi ha spinto il desiderio di vivere il periodo di apprendistato in un Paese in via di sviluppo e non in un’università in Francia. Prima ancora che di avventure educative, infatti, sono appassionata di avventure umane: amo partire per incontrare e conoscere persone nuove; inoltre sono sempre stata attratta dall’Africa. Quando mi si è offerta questa opportunità, non ho avuto dubbi né ripensamenti: l’ho colta al volo.
Sono partita con un altro mio compagno di studi, Julien. L’inizio non è stato facile: quando si cambia Paese, infatti, occorre modificare anche le proprie abitudini. Prima della partenza ci domandavamo se saremmo stati i benvenuti in una terra così tanto diversa dalla nostra (anche se accomunata dalla medesima lingua), avevamo molte domande che però sono svanite immediatamente di fronte alla grande accoglienza degli ivoriani. Una delle cose che mi ha colpito fin da subito è la vita per strada. La strada è viva e la strada è vita: ci sono venditori ovunque, la gente canta e ride, si percepisce uno spirito di gioia condiviso. Persino i bambini che giocano e corrono per le vie sembrano figli di tutti i passanti. In Costa d’Avorio mi sono pure rotta un piede: ovunque andavo, le persone si preoccupavano per me e tutti mi auguravano una buona ripresa, cosa che mai sarebbe successa in Francia.
Io e Julien siamo stati accolti presso la comunità Adiapodoumé: io sono cristiana, Julien no. Prima della partenza, il pensiero comune era: «Cosa ci va a fare una ragazza in una comunità di religiosi?!». Invece non ho avuto nessun tipo di problema a vivere in comunità rispettandone spazi, tempi e orari; al contrario ho partecipato alla vita della comunità, dalle celebrazioni del mattino prima di cominciare la giornata ai momenti conviviali, di sport e alle serate ricreative. Vivere l’esperienza in questo contesto è stata una fortuna che ha facilitato la condivisione della quotidianità e reso semplice l’incontro con gli altri. In Costa d’Avorio anche la mia fede è cambiata: in Francia oggi molti giovani si dichiarano miscredenti o contrari ai principi della religione cristiana; vivere in un clima in cui tutti sono credenti invece aiuta ad andare avanti e porsi domande sulla propria fede e su come la si sta vivendo… qui Dio è presente in ogni azione della vita.
Della Costa d’Avorio ricordo la gioia, la condivisione e i bei paesaggi ma ho anche negli occhi le notevoli differenze dei diversi quartieri della stessa città. Ho capito cosa vuol dire essere bianco in un Paese africano: significa ancora “essere ricco” e questa è un etichetta difficile da togliere.
Infine un pensiero a Tshanfeto: questa fattoria pedagogica all’avanguardia insegna ai giovani le migliori tecniche agricole, infonde loro fiducia e li rende autonomi facilitando in questo modo il loro inserimento socio-professionale. È stato uno scambio di conoscenze e di pensieri molto bello: per la prima volta ho avuto modo di tenere delle lezioni per condividere quel che ho imparato durante i miei studi. Spesso mi capita di pensare al futuro: per ora non sono sicura che quando finirò gli studi lavorerò e vivrò in Francia. Chissà… Magari in futuro potrei tornare proprio qui.