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«Cari amici di Bétharram…»

Il superiore regionale padre Jean-Luc Morin scrive ai religiosi e ai laici della Regione San Michele Garicoits.

11 aprile 2021

Carissimi,

 

seconda domenica di Pasqua. Non rinchiusi come lo scorso anno, ma ancora esitante tra le restrizioni sanitarie, le ricadute e le speranze di uscita dalla crisi. Domenica della Misericordia divina, carica delle nostre miserie umane, personali e collettive. Giorno di luce mescolata ad ombre persistenti.

 

Dopo gli auguri di Natale 2019, non è forse giunto il momento di estendere, finalmente, la mia lettera “Ai Religiosi della Regione” alle donne e agli uomini che sono legati a Bétharram, a diverso titolo? Non è forse questo un modo per recuperare il tempo perso, augurandovi, se non una felice Pasqua, almeno un tempo pasquale traboccante di speranza? Non è forse il momento di ripetere a ciascuno come abbia il suo posto nel Cuore di Dio come nella Famiglia di San Michele, al di là delle difficoltà e delle incomprensioni di ogni realtà umana?

 

È stata la riunione di ieri a Pibrac che mi ha convinto, grazie a una confidenza che risuona a proposito in questa solennità della Divina Misericordia: “La fonte della mia felicità è prendere sempre più coscienza dell’amore e della misericordia di Dio per me” confidava uno dei partecipanti. “È questo che mi permette di provare a fare lo stesso con i miei fratelli, fino a perdonare.” Così si costruisce la fraternità: attraverso il riconoscimento dell’Unico che è Padre e che è perdono. Di fatto, il mistero che oggi celebriamo unisce inseparabilmente le nostre piccole miserie, subite e inflitte, alla misericordia ricevuta e condivisa. In altre parole: l’umanità e la divinità, il peccato e la grazia, la morte e la vita, la passione e la risurrezione… Ma l’ultima parola rimane all’Amore.

 

Negli scritti del nostro fondatore, è curioso notare i pochi riferimenti alla risurrezione. Come se questo evento centrale della fede cristiana fosse passato in secondo piano, come se il legno della croce fosse “l’albero che nasconde la foresta”. La teologia e la spiritualità dell’epoca si attardavano più sulla sofferenza redentrice che sulla beata risurrezione; forse perché essa era ben più in sintonia, rispetto alla gioia piena, con l’esperienza dei contemporanei e l’alleluia finale veniva rimandato nell’aldilà…

 

Ma non è che la risurrezione sia assente dall’orizzonte, come racconta la “via crucis” fatta erigere da padre Garicoïts a Bétharram. La XVa stazione, una delle particolarità di Bétharram, ne è il vero coronamento: dice nella pietra l’importanza della Pasqua. Ma per intravvederlo, bisogna aver sgranato la Passione lungo le cappelle che serpeggiano sulla collina. Lassù, il Cristo glorioso ci aspetta con le braccia aperte, tese verso il cielo, in un «eccomi» definitivo al Padre che lo ha risuscitato e agli uomini che ha redento.

 

Dopo tanti sforzi, la consolazione è solo più grande. Allo stesso modo, nella Corrispondenza, vengono mantenute le medesime proporzioni: uno dei rari accenni pasquali appare in una lettera, datata precisamente il lunedì di Pasqua del 9 aprile 1860. Il buon padre Garicoïts si rivolge alla moglie del sindaco di Orthez e grande sostenitore dell’opera di Moncade, Raymond Planté. Come molte pie dame, la Signora Planté era inconsolabile a causa della morte, a soli 35 anni, di p. Honoré Serres: egli aveva diretto il collegio dal 1850 al 1859, oltre ad aver diretto la sua anima. Avendo comunicato la sua intenzione di affidarle dei piccoli oggetti del defunto, il santo di Bétharram aggiunge:

In occasione della grande solennità di Pasqua, ho pregato Nostro Signore con tutto il mio cuore di voler dire al vostro cuore: “Perché siete triste?… La pace sia con voi”. (Corr. II, lettera 252)

 

Anche P. Garicoïts era molto colpito per la scomparsa di «Monsieur Serres», un religioso pieno di promesse, di cui fece portare il corpo in casa madre. Insieme ad altri discepoli del cuore – Fratel Leonida, i padri Cassou e Rossigneux – faceva parte del suo pantheon personale, al punto di salire frequentemente al calvario per raccogliersi sulla sua tomba. In questa breve missiva, si avvicina alla sua corrispondente alla maniera di Gesù nei confronti dei discepoli, la sera della risurrezione. Anch’essi erano devastati dalla tragica fine del loro Amico. Ed ecco che, sulle vie di Emmaus come nel segreto del Cenacolo, risuona lo stesso appello: Perché questa tristezza? Sia con voi la pace! (cf. Luca 24,17.36; Gv 20,19).

 

Era dopo la morte del maestro. I discepoli avevano chiuso le porte a doppia mandata, nel caso se la prendessero con loro. Erano intrappolati nel dolore e nella paura. Anche noi, a volte, vogliamo restare soli, rannicchiati sui nostri problemi e sulle nostre sofferenze. Ma Gesù viene e dice: «La pace sia con voi» (Gv 20,19). Una parola che fa eco a quell’altra: «Fiducia! Sono io, non abbiate paura» (Mc 6,50) pronunciata una certa notte in un mare agitato da venti contrari … È così che la pace, la forza ci sono restituite in mezzo alle difficoltà: la pace per tutti i naufraghi della vita e, in tutte le nostre battaglie, la Presenza che salva, la vittoria del Vivente!

 

Nonostante tutti i problemi e i pericoli del mondo, esiste un santuario di pace, la certezza nel profondo di noi di essere amati e di poter attraversare tutto con l’Amato. Una tale gioia, a questo livello di umiltà e di fiducia, in un abbandono totale nelle mani del Padre, nessuno ce la toglierà. Essa è la traccia e il soffio di Dio in noi. Essa sarà nostra, come noi saremo in Lui, per una felicità eterna.

 

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