Mentre il Centrafrica è col fiato sospeso per i risultati delle elezioni che designeranno il nuovo primo ministro, padre Tiziano Pozzi – a Niem da quasi 30 anni – è tornato a casa per un periodo di riposo di circa un mese. A fianco a lui anche il volontario Gianni Fossati, che da tre mesi si sta occupando della costruzione proprio del blocco operatorio dell’ospedale di Niem e che domenica scorsa è rincasato per procurarsi il materiale da spedire perché i lavori possano continuare. Inoltre, una raccolta fondi per la realizzazione della sala operatoria è stata lanciata anche dalla Comunità Pastorale di Lissone che ha proposto questo progetto come iniziativa caritativa per la quaresima. In attesa di farci raccontare dal vivo da padre Titti le ultime novità della comunità betarramita africana, facciamo un tuffo nel passato per ripercorrere le tappe di una missione che sta diventando grande.
Gli hanno mandato una decina di falsi ammalati in incognito, per testare il trattamento dei pazienti. Poi, sempre in modo nascosto, hanno interrogato i degenti e i loro parenti; e alla fine del sondaggio (effettuato dall’organizzazione olandese Cordaid) proprio l’ospedale di Niem è risultato il migliore di tutto il paese.
Una bellissima referenza e una grande soddisfazione per la missione di Niem e sopratutto per il dottore e padre Tiziano Pozzi che praticamente questo dispensario l’ha tirato su dal nulla in 25 anni di fatica e impegno.
“Quando sono arrivato per la prima volta a Niem nel luglio 1987 non c’era nemmeno la missione. Ho abitato anch’io in una paillotte, la capanna di paglia, la residenza attuale era in costruzione. Il primo locale per curare gli ammalati è stata la stanza dove dormo attualmente, lì suor Mary Letizia, l’infermiera indiana che per 11 anni è stata il mio braccio destro, ha cominciato a fare ambulatorio nel 1989; l’anno successivo siamo passati in un’aula della scuola elementare e nel 1991 è terminata la prima parte del dispensario: 4 stanze senza possibilità di degenza. Oggi il dispensario, cresciuto nel corso degli anni, è molto cambiato: abbiamo circa 90 posti letto sempre pieni, reparti di medicina, radiologia, uno studio dentistico, laboratorio analisi e maternità: qui nascono circa 300 bambini all’anno.
Ormai tutte le donne che abitano nel giro di 5-10 km vengono a partorire qui da noi anche se non vi sono complicazioni, se invece il parto si presenta più difficoltoso arrivano anche da 50-100 km di distanza”.
I risultati di questi anni parlano chiaro: “Da quando siamo qui a Niem la mortalità materna è quasi sparita: in 25 anni ho visto forse morire 5 donne da noi, e specialmente perché sono arrivate dopo il parto con un’emorragia senza rimedi, prima invece ne arrivavano molte; qui la media é di 7 parti per ogni donna. Effettuiamo le vaccinazioni dei bambini e non vi sono più epidemie di morbillo (in Africa sono mortali i bambini non hanno gli anticorpi) né di difterite o polio. Una struttura come la nostra in tutta la regione non c’è; l’ospedale governativo nella città di Bouar, a 70 km, è stato ben costruito dai francesi, ha circa 200 posti letto ma funziona pochissimo, lo Stato non spende molto in sanità pubblica. La salute in Centrafrica è tutta a pagamento anche in quella pubblica perché i medici non sempre ricevono le paghe e si rifanno sui malati; del resto nessun dottore africano vuole rimanere in un ospedale di periferia, tendono a stare nella capitale.
In tutto il Centrafrica la rete sanitaria è in buona parte cristiana: la Assomesca associazione medica di tutte le chiese cristiane raduna 105 strutture sanitarie e di fatto ha in mano la sanità fuori dai centri maggiori, i vari dispensari sono retti da medici missionari, suore e infermiere”.
Inoltre Il Dispensario è inoltre il punto di riferimento e il centro di coordinamento di tutte le “farmacie di villaggio”, piccole strutture sparse sul territorio adibite alla distribuzione di medicine e ad interventi di primo soccorso.
In questi ultimi due anni il dispensario di Niem come gli altri dispensari e le missioni ha accolto tra le sue mura anche molti rifugiati che scappavano dai loro villaggi e capanne a casa della guerra a seguito del colpo di Stato del 2013. Proprio per questo motivo e per l’insicurezza che regnava nel paese i lavori del progetto “Londo mo tambula” (“Alzati e cammina” in lingua sango) per la realizzazione della sala operatoria sono partiti in ritardo rispetto al previsto e ora sono in pieno svolgimento.