È la prima volta che un giubileo inizia in periferia. Papa Francesco ha inaugurato in Africa l’anno della misericordia aprendo la porta santa nella cattedrale di Bangui, capitale della Repubblica Centrafricana, insanguinata dal 2013 da una violenta guerra civile (per ricapitolare leggi qui, qui e anche qui). Nel suo viaggio africano cominciato in Kenya e proseguito in Uganda, il pontefice ha scelto di lasciare il suo messaggio di pace proprio nella Repubblica Centrafricana, nonostante l’allarme per la sicurezza del papa in questa regione fosse altissimo. Francesco non ha rinunciato però alla sua visita in papamobile scoperta e nemmeno alla preghiera – lunedì 30 novembre – nella moschea del quartiere musulmano di Koundoukou come segno di riconciliazione tra cristiani e musulmani, che questi mesi di scontri avevano visto impegnati su fronti opposti: “Nessuna violenza deve essere commessa in nome di Dio. Tra cristiani e musulmani siamo fratelli e dobbiamo dunque considerarci come tali. Sappiamo bene che gli ultimi avvenimenti e le violenze che hanno scosso il vostro Paese non erano fondati su motivi propriamente religiosi. Chi dice di credere in Dio dev’essere anche un uomo o una donna di pace”. “Cristiani, musulmani e membri delle religioni tradizionali – ha aggiunto il Papa – hanno vissuto pacificamente insieme per molti anni. Dobbiamo dunque rimanere uniti perché cessi ogni azione che, da una parte e dall’altra, sfigura il volto di Dio e ha in fondo lo scopo di difendere con ogni mezzo interessi particolari, a scapito del bene comune”. Il papa ha chiesto all’imam della moschea della città di essere condotto davanti al mihrab, il punto più sacro del luogo di culto musulmano dove è rimasto in silenzio per qualche minuto. “Insieme diciamo no all’odio, alla vendetta, alla violenza, in particolare a quella che è perpetrata in nome di una religione o di Dio, perché Dio è pace. In questi tempi drammatici, i responsabili religiosi cristiani e musulmani hanno voluto issarsi all’altezza delle sfide del momento. Essi hanno giocato un ruolo importante per ristabilire l’armonia e la fraternità tra tutti. Vorrei assicurare loro la mia gratitudine e la mia stima” – ha concluso Bergoglio – ricordando “i tanti gesti di solidarietà che cristiani e musulmani hanno avuto nei riguardi di loro compatrioti di un’altra confessione religiosa, accogliendoli e difendendoli nel corso di questa ultima crisi, nel vostro Paese, ma anche in altre parti del mondo”. Subito dopo la visita alla moschea il papa ha celebrato la messa per la festa di Sant’Andrea Apostolo presso lo stadio Barthelemy Boganda sempre a Bangui, accolto da ben 200mila fedeli. Nell’omelia ha detto che “ogni battezzato deve continuamente rompere con quello che c’è ancora in lui dell’uomo vecchio, dell’uomo peccatore, sempre pronto a risvegliarsi al richiamo del demonio per condurlo all’egoismo, a ripiegarsi su sé stesso e alla diffidenza, alla violenza e all’istinto di distruzione, alla vendetta, all’abbandono e allo sfruttamento dei più deboli”.
Le impressioni delle autorità. La presidentessa di transizione Catherine Samba-Panza – che guiderà il Paese alle prossime elezioni il 27 dicembre e che aveva creduto fino all’ultimo nell’importanza di un viaggio papale nella stabilizzazione della situazione del Paese – ha incontrato il santo padre insieme ai membri del suo governo. A lei Bergoglio ha manifestato vicinanza ma ha anche sottolineato la responsabilità delle istituzioni che rivestono “un’importanza cruciale” e dovrebbero anzi “incarnare per prime con coerenza nella loro vita i valori dell’unità, della dignità e del lavoro, per essere modelli per i loro connazionali”. Anche il monsignore Dieudonne Nzapalainga, arcivescovo di Bangui che il papa ha incontrato nella giornata di domenica insieme al clero locale, è felice del segno lasciato dal Papa nella sua diocesi perché a dispetto delle previsioni catastrofiche il suo arrivo ha portato tanta gioia. “Noi ci auguriamo che dopo questa visita i centrafricani abbiano quello che noi chiamiamo un sussulto patriottico. Abbiamo sofferto tanto. È giunto il momento. C’è un tempo per la guerra e un tempo per la riconciliazione, un tempo di rinascita. Si stanno avvicinando le elezioni: non possono essere tutti il presidente; bisognerà fare dei sacrifici, accettare che l’uno o l’altro diventi presidente per prendere in mano il destino della nostra Nazione e tutti dovranno aiutarlo in questo compito. Un presidente che avrà il consenso non dovrà escludere le persone, ma riunirle. E soprattutto dovrà avere a cuore la questione della riconciliazione. Noi siamo lacerati e feriti… ma dovremo pensare a quelle ferite con il nostro impegno, con i risultati che piano piano otterremo».
Contro le armi, per la pace. Nelle due giornate centrafricane del papa c’è stato spazio anche per una visita a un campo profughi dove Francesco ha lanciato un appello alla comunità internazionale per continuare a operare sulla strada della solidarietà, nella riconciliazione, nell’assistenza sanitaria e nella cultura ma anche nel disarmo e del consolidamento della pace. E il pontefice ha ribadito il suo messaggio poco dopo nella cattedrale: “A tutti quelli che usano ingiustamente le armi di questo mondo, io lancio un appello: deponete questi strumenti di morte; armatevi piuttosto della giustizia, dell’amore e della misericordia, autentiche garanzie di pace”.
I giovani betarramiti dal Papa. Nella serata di domenica il papa ha anche partecipato a una veglia di preghiera sulla spianata della cattedrale, dove erano particolarmente invitati i giovani del Paese – alcuni dei quali sono stati confessati proprio dallo stesso Francesco. All’iniziativa hanno partecipato anche alcuni ragazzi della comunità di Bouar che seguono gli incontri vocazionali organizzati dal betarramita fratel Gilbert e Armel. Il gruppo si è messo in marcia per tempo verso la capitale, in un convoglio di ben 40 macchine provenienti da tutti i missionari impegnati nella diocesi e sotto scorta per paura di attacchi. Bergoglio ha reso omaggio all’opera missionaria come quella operata dai nostri padri ribadendo che “chi ha i mezzi per condurre una vita dignitosa deve cercare di aiutare i più poveri ad accedere anch’essi a condizioni di vita rispettose della dignità umana, in particolare attraverso lo sviluppo del loro potenziale umano, culturale, economico e sociale. Pertanto, l’accesso all’istruzione e all’assistenza sanitaria, la lotta contro la malnutrizione e la lotta per garantire a tutti un’abitazione decente dovrebbe essere al primo posto di uno sviluppo attento alla dignità umana”.
(fotografie tratte da Tv2000 e Osservatore Romano)