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«Lavoriamo per gli altri»: l’eredità di Celestino Gusmeroli

Oggi come dieci anni fa scompariva padre Celestino Gusmeroli, betharramita e sacerdote dall’intelligenza fine, grande preghiera e amore per la vita. Di quest’uomo diventato prete prestissimo (nel 1948, ad appena 23 anni) si ricorda infatti la sua passione per le montagne alle quali dedicava cori e canti provenienti dal repertorio della tradizione musicale alpina. Il suo entusiasmo per la natura si affiancava a problemi di vista che lo accompagnarono per tutta la vita ma che non gli impedirono di leggere molto e di diventare ottimo insegnante e conferenziere. Già dal 1954, infatti, il ventottenne padre Celestino divenne maestro degli scolastici ad Albiate e cinque anni più tardi superiore della scuola. La sua figura dal 1969 coincide con quella di maestro dei novizi e sostituto parroco a Lissone e superiore provinciale,  il primo in questo ruolo dopo le trasformazioni portate dal Concilio Vaticano II. Fu poi cappellano a Bormio, Morbegno e Solbiate prima di ritirarsi ad Albiate da dove – colpito presto dalla malattia – venne affidato alle cuore delle suore di San Carlo a Seveso dove si spense il 31 luglio 2007. Dai betharramiti avrebbe voluto il rispetto della povertà, la condizione migliore nella quale opera la provvidenza. Alla fine del suo mandato da provinciale, nel 1977, scriveva parole di un’attualità sconcertante: «Non si tratta più di avere opere nostre, di istituzioni solide, di proprietà e case nostre: andiamo invece a lavorare per gli altri, senza alcuna potenza o privilegio di potere ma solo per servire evangelicamente la Chiesa di Cristo e il mondo dei poveri. Così i betharramiti sono uomini attualissimi, senza complessi di sorta, sempre disponibili a Dio e ai fratelli; sono uomini capaci di partire sempre quando Dio chiama, uomini che non si legano ai muri, ai luoghi, alle persone. Siamo pochi noi betharramiti, ma se ognuno di noi sarà pienamente betharramita divamperà nel mondo quel fuoco che Cristo è venuto ad accendere».

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