«Un vero fascio di nervi». Così lo definiva la Nef, rivista ufficiale dei betharramiti, nel necrologio di rito. E padre Giovanni Bisio, morto giusto 40 anni or sono a Monteporzio Catone, lo era veramente: sia per i nervi (il suo carattere irruente gli fece passare più di un guaio, anche con i superiori…), sia per il fascio, perché era leggendaria la sua simpatia per un certo passato regime, del quale di sicuro apprezzava l’ordine, il patriottismo e la militaresca decisione.
Ma, soprattutto a 87 anni, certi particolari venivano accettati con un sorriso come ormai facenti parte del personaggio. Perché padre Bisio lo era veramente, una «figura quasi leggendaria» (ancora il necrologio), anche in forza delle peripezie della prima parte della sua vita. Basti dire che era nato a Buenos Aires nel 1894 da emigrati, poi era tornato in Italia stabilendosi a Rho con la famiglia, quindi – ragazzo – aveva ripreso la valigia per entrare nel seminario betharramita di Lesves in Belgio e di lì in Palestina ma per pochissimo: perché nel 1914, appena novizio, era stato mobilitato per la Grande Guerra.
Al fronte tuttavia non aveva perso né la vocazione né il carattere e con tenacia a 26 anni suonati aveva emesso i primi voti religiosi a Mendelu, in Spagna; 8 anni dopo, il 12 luglio 1928, veniva ordinato prete a Lourdes – tra i primissimi betjharramiti italiani – e praticamente da subito si arruolava nell’impresa di far nascere la «Betharram d’Italia», dapprima reclutando giovanissimi connazionali per il seminario in Francia, quindi costituendo con tre confratelli la primissima comunità a Colico appunto nel 1928. Durò 5 anni, perché poi un rovescio finanziario sbalestrò l’impresa (per fortuna non del tutto) e disperse la comunità; padre Bisio fu destinato a Mendelu, in Spagna, pare «in punizione» per certe sue intemperanze. In Italia tornò nel 1956, a Monteporzio, dove rimase sino alla morte senza mai perdere la sua verve né – naturalmente – il carattere.