Newsletter

Etchécopar: la malattia dell’uomo di Dio

Padre Auguste Etchécopar è considerato il “secondo fondatore” della congregazione del Sacro Cuore di Gesù di Bétharram. Fu questo religioso, infatti, superiore generale dell’istituto dal 1874 al 1897 a sistematizzare l’opera spirituale di San Michele, lavorando per l’approvazione delle Costituzioni a Roma. La causa di beatificazione di padre Etchécopar è attualmente in corso. Per far conoscere la sua figura ogni fine mese padre Alessandro Paniga, superiore della comunità italiana di Albiate,  propone testimonianze di quanti hanno conosciuto il religioso, desunte dalla “Positio super virtutibus” presentata a Roma in vista della beatificazione e canonizzazione.

 

di padre Alessandro Paniga


«All’arrivo di una nuova e seria malattia, presagì che sarebbe stata l’ultima. Si affrettò a trasmettere a padre Bourdenne, suo assistente, alcuni documenti importanti concernenti tra gli altri suor Maria di Gesù Crocifisso; e siccome il Padre si meravigliava e si rattristava gli disse: “Vedrà che non ne avrò ancora per molto”». (P. Stefano Domec)

Notizie desunte dal libro “L’homme au visage de lumière” di padre Pierre Duvignau

Guardando alle molte mansioni svolte, alle gravi responsabilità assunte, alle tante preoccupazioni generosamente sopportate, alle varie difficoltà superate, si potrebbe immaginare di trovarsi di fronte ad un uomo pieno di vigore e di salute. Ma ci si sbaglia. L’imponente statura di padre Etchécopar, il suo portamento maestoso, il colorito del suo viso davano l’impressione di una salute di ferro. Invece no. Soprattutto da quando nel 1862 fu colpito dalla prima congestione polmonare, fino all’ottava che lo portò alla tomba, la sua salute declinò pian piano. Conobbe solo dei brevi periodi di calma, sempre in balia di un raffreddore alla minima corrente d’aria. Sappiamo che nel 1862, quando fu colpito dalla prima grave crisi, padre Garicoits lo inviò alle acque termali. Ma la cura gli fece poco. Altre crisi si susseguirono a ritmi abbastanza frequenti. Ogni volta ne usciva sempre più spossato e debilitato. Dalla primavera del 1872, quando per una nuova ricaduta dovette fare due mesi di convalescenza, le crisi si ripeterono quasi ogni anno. Il minimo raffreddore gli procurava delle emorragie dalla bocca. Nella sua fitta corrispondenza, soprattutto con la sorella Maddalena, padre Etchécopar parlò diffusamente della sua malattia: “La debolezza di fatto mi ha costretto al riposo (1 luglio 1872)… Mi sto ristabilendo poco a poco, grazie a Dio, da una congestione polmonare (13 gennaio 1886)… Il mio petto è sempre oppresso (6 ottobre 1888)… Ho avuto una leggera febbre durante una decina di giorni (25 dicembre 1889)… La minima fatica mi riporta la febbre (18 marzo 1895)… Sono lento come una lumaca, un invalido (21 gennaio 1896)… Sono molto indebolito per una congestione polmonare (12 maggio 1896). Nel 1876 i medici gli sconsigliarono un viaggio in America a causa di una disfunzione cardiaca. Nel 1895 il dottore lo trovò “compromesso nel cuore e nella testa, con parti del corpo colpite da reumatismo gottoso”. Difatti, negli ultimi anni era pressoché paralizzato alle gambe. Per i suoi pellegrinaggi alla tomba del Fondatore gli avevano procurato un’asina. Ma presto divenne incapace di servirsene. La sua vista si abbassò, l’occhio sinistro divenne pressoché inservibile. La malattia l’aveva anche gonfiato. Davvero poteva scrivere il 4 novembre 1895: “Basta un niente per scombussolare questa mia logora carcassa”. Eppure, malgrado questi acciacchi, non rallentava il ritmo del suo lavoro. Quasi ogni anno faceva un viaggio a Roma per trattare gli affari dell’Istituto, soprattutto per quanto riguardava la causa di beatificazione di padre Garicoits. Nel 1890 si recò in Terra Santa per fondarvi lo Studentato. Vi ritornò nel 1892 per consolidarlo. Nel medesimo anno fece visita alle comunità d’America. Bisogna anche dire che il clima della Casa Madre non era certamente il meglio per la sua salute. L’inverno di Bètharram non era davvero fatto per i tubercolotici. Padre Gaetano Bernoville scrisse durante un suo soggiorno a Bétharram: “Gli amanti dei comfort, del riscaldamento centrale, i nemici delle correnti d’aria, se, per caso, vengono qui, finché l’estate non ha preso pienamente piede, se ne vadano molto presto! I lunghi e larghi corridoi del vecchio convento sono posti esattamente sull’asse della tramontana ghiacciata dei Pirenei che vi si ingolfa come nella sua via naturale”. Possiamo quindi immaginare i gravi disagi e rischi che doveva sopportare padre Etchécopar, la cui stanza era lontana dalla cappella un centinaio di metri, quando imboccava quei lunghi e freddi corridoi per ogni visita al SS. Sacramento nel periodo invernale. Malgrado tutte le sofferenze che dovette sopportare non si lamentò mai. Accettò la prova della malattia con un’adesione sincera, con un’unione tenera e generosa, con un abbandono per amore e nell’amore all’adorabile volontà di Dio. Scriveva il 15 aprile 1876 alla sorella Maddalena che gli stette molto vicina e che si prese tanto a cuore la sua salute: “Viva Gesù, viva la Croce! Tutte le indisposizioni che ci colpiscono sono come delle piccole gocce infinitamente addolcite del suo calice, ma che ci procurano tesori inestimabili di meriti e di favori; sono come delle piccole punture d’una vaccinazione divina che ci preservano dall’orribile dimenticanza di Dio. Dunque, avanti sempre, pieni di fiducia, di riconoscenza e di abbandono in Dio”. E ancora alla stessa il 7 febbraio 1886: “Viva il Signore che mi ha messo in questo stato, non essendo ancora degno di andare a possederlo in cielo!”. E in un’altra lettera del 2 febbraio 1897 scriveva alla stessa: “Facciamo attenzione alla Provvidenza, e avanti sempre! L’importante è che siamo uniti a Gesù e a Maria durante la vita, al momento della morte, per l’eternità; sul Tabor, sul Calvario, e poi eternamente in cielo!. Ora, con la grazia e l’infinita misericordia di Dio, non è forse quello che ci ha condotto fin qui, quello che il nostro Padre celeste ci prepara visibilmente? Vivere, combattere, soffrire, gli occhi fissi su Gesù e Maria, non desiderando altro che lodare senza fine il cielo Gesù e Maria”. E nell’ultima lettera del 29 marzo 1897 sempre alla sorella Maddalena scriveva: “Avanti sempre! Fin che il buon Dio vorrà! Purché lo amiamo qui in terra nell’oscurità della fede, là in alto nella chiara visione della sua bontà, il resto che importa? Ora, come non amare Colui al quale diciamo con tutto il cuore: Padre nostro! E che vediamo così amabile, così amante sulla Croce e nell’Eucaristia? Diciamo quindi: Padre nostro, io ti amo e voglio amarti!… Marzo se ne va: O san Giuseppe, non andartene, resta con noi per la vita e per la morte!”. Queste parole sono come il testamento di un cuore consumato dall’amore divino; sono l’espressione di un amoroso abbandono alla divina volontà, in totale unione d’amore al Crocifisso. Padre Etchécopar sentiva che la morte era ormai prossima. Durante la settimana precedente la sua ultima malattia chiamò presso di sé il suo assistente, padre Bourdenne, e lo informò su tutte le carte importanti che lasciava. Alla stupore dell’assistente rispose: “Vedrà che non ne avrò ancora per molto”. La polmonite si manifestò il 5 aprile 1897, e il male si aggravò rapidamente. Il martedì santo, 13 aprile 1897, entrò in agonia e alle ore 20, attorniato dai suoi religiosi e dalle amate sorelle, rese l’anima a Dio. Cinquant’anni più tardi, il 12 aprile 1947, durante il riconoscimento canonico dei suoi resti, il suo corpo fu trovato perfettamente conservato.

 

Leggi anche: Etchécopar: un’anima devota

CONDIVIDI:

Facebook
Email

La proposta

Articoli recenti

Eventi