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Etchécopar: la morte santa

Padre Auguste Etchécopar è considerato il “secondo fondatore” della congregazione del Sacro Cuore di Gesù di Bétharram. Fu questo religioso, infatti, superiore generale dell’istituto dal 1874 al 1897 a sistematizzare l’opera spirituale di San Michele, lavorando per l’approvazione delle Costituzioni a Roma. La causa di beatificazione di padre Etchécopar è attualmente in corso. Per far conoscere la sua figura ogni fine mese padre Alessandro Paniga, superiore della comunità italiana di Albiate,  propone testimonianze di quanti hanno conosciuto il religioso, desunte dalla “Positio super virtutibus” presentata a Roma in vista della beatificazione e canonizzazione.

di padre Alessandro Paniga

Dalle testimonianze di quanti lo hanno conosciuto. 

«Non so chi abbia detto: “La morte è il capolavoro che corona i risultati di una vita”. Padre Etchècopar aveva santamente preparato questo capolavoro, doveva morire com’era vissuto, da “uomo di Dio”, nel senso più profondo del termine. Ebbe il presentimento della sua prossima fine e l’aveva detto a padre Bourdenne, suo assistente. In previsione della sua partenza per il cielo, aveva dedicato diversi giorni a regolare in modo perfetto gli affari dell’Istituto, a mettere in ordine i documenti più importanti, ripetendo: “Vedrà che non ne avrò ancora per molto”. Poi, dopo aver tutto sistemato, si concentrò totalmente su Dio; le sue visite al SS. Sacramento si fecero sempre più frequenti e prolungate. Fu in seguito ad una di queste visite che fu colpito dall’ottavo attacco di polmonite; altre sette, che si erano scaglionate lungo gli anni, avevano molto affievolito il suo fisico. Ebbe subito sentore della gravità del male. Da allora fummo spettatori di una meravigliosa ascesa della sua anima. Invano, il male sembrava talvolta calmarsi un po’ e permettere qualche speranza di miglioramento. Invano, si moltiplicarono preghiere e novene per implorare la guarigione del venerato malato, che manteneva una perfetta serenità, e si rimetteva senza riserve tra le mani del Maestro, guardando con occhi colmi di amore, quando non poteva pregare, il suo Crocifisso e l’immagine della Madonna. Dopo l’ottavo giorno, il 12 aprile 1897, quando attorno a lui non c’era ancora troppo allarmismo, chiese con insistenza che gli fosse amministrata l’Estrema Unzione, perché, diceva, la desiderava “con tutto il cuore”. Il padre assistente gli affermò che non si era ancora a questo punto, ma che gli avrebbe portato il Santo Viatico. Egli si sottomise, semplicemente, per obbedienza, come si era piegato con lo stesso spirito alle minime prescrizioni dei medici e degli infermieri. Prima di ricevere il Viatico, volle confessarsi e impiegò una bella mezz’ora a prepararsi. A partire da quel momento, non pensò ad altro che alla vita eterna, edificando tutti per la sua in alterabile pazienza, offrendo le sue sofferenze a Cristo crocifisso. Alcune rare visite, come quella del canonico Domenico Dupont, quella delle sue due sorelle, quelle di qualcuno che voleva ricevere la sua benedizione, lo distrassero a mala pena dal suo grande pensiero. Intanto il male progrediva al punto da far perdere ogni speranza. La vigilia della sua morte, il 12 aprile, in gran numero eravamo in ginocchio attorno al suo capezzale, piangendo e pregando. Non dimenticherò mai quei momenti: il venerato Padre ci guardava con tanta tenerezza! Il padre assistente gli propose l’Estrema Unzione. “Oh! sì, la desidero con tutto il mio cuore!”. Seguì la cerimonia con calma e con un raccoglimento ammirevole. Dopo la funzione padre Bourdenne con le lacrime agli occhi lo pregò di benedire  i suoi Figli, i presenti e gli assenti, e la Congregazione tutta intera. Allora, in una scena molto commovente, il venerato morente si drizzò con uno sforzo e tracciò un largo segno di croce come se volesse abbracciare tutti. Noi rimanemmo costernati al pensiero della prossima separazione da un Padre così amato, ma profondamente commossi e consolati per lo spettacolo di una santa agonia. Il 13 aprile, martedì santo, dopo alcuni momenti di tregua durante i quali ricevette a quattro riprese l’assoluzione, preceduta ciascuna da cinque minuti di profondo raccoglimento, dopo aver chiesto che si recitassero davanti a lui le pie invocazioni che amava, e aver tracciato sulla sua bocca dei segni di croce con l’acqua santa; dopo aver baciato con ardore il Crocifisso, con le dita che stringevano il Rosario quasi fosse l’arma degli ultimi combattimenti, entrò in una serena agonia. Talvolta apriva gli occhi, pronunciava alcune parole confuse, ma una frase fu distintamente articolata, e fu l’ultima: “Aprite la finestra, voglio vedere il cielo!”. L’anima benedetta del nostro Padre, alle otto di sera, attorniato dalla comunità in pianto e in preghiera, se ne andò dolcemente verso Colui che aveva tanto amato e unicamente servito. A causa delle cerimonie della Settimana Santa, le esequie furono rinviate fino al lunedì di Pasqua. In attesa, che le preziose spoglie furono deposte su un letto funebre nella stessa stanza in cui il Fondatore faceva le sue conferenze e dove il suo stesso corpo era stato esposto a suo tempo. Vedo ancora padre Dospital  impegnato ad ornare di piante verdi e di sobri tendaggi la cappella ardente; vedo ancora la fiumana di visitatori contemplare con ammirazione il viso del defunto che nella maestà della morte aveva mantenuto una straordinaria serenità. Fu in effetti per cinque giorni una sfilata continua di persone di ogni età e condizione, venuti dalla pianura di Nay, di Pau, di Bayonne, di Lourdes, di Tarbes, e da più lontano ancora; si pregava, si piangeva, si avvicinavano alle mani giunte del defunto rosari, libri, ecc. ; e soprattutto si invocava il Servo di Dio e gli si raccomandavano le intenzioni più disparate… Le sue esequie furono un trionfo; mai Bètharram, anche nei giorni delle grandi solennità, vide un’affluenza simile: centinaia di preti, religiosi, religiose, magistrati, consiglieri generali e di circoscrizione, deputati e sanatori, gente del popolo e della società, attorniavano il catafalco e refluivano fuori della Cappella lontana, a fianco di Lestelle, in un silenzio impressionante, interrotto solo dai canti liturgici. Monsignor Jauffret stesso si era riservato di cantare la Messa. Malgrado la fatica, salì sul pulpito per pronunciare l’elogio funebre con dei singulti nella voce che provocarono nell’immenso uditorio una indicibile emozione; poi, lui stesso, ancora, infaticabile, con il piviale e la mitria in testa precedendo il corteo funebre trainato da due buoi e seguito da una folla innumerevole, salì fino alla spianata del Calvario; infine benedisse la tomba della cappella della Risurrezione e recitò le ultime preghiere. Il nostro venerato Padre e secondo Fondatore riposa là, come si espresse uno dei suoi biografi: “Ai piedi del Padre amato riposa il figlio prediletto, presso il Maestro venerato il discepolo scelto, l’imitatore fedele”, in attesa della glorificazione».  (Padre Francesco Carrière)

«Alla morte del Servo di Dio, l’opinione generale, tra i membri della comunità e da quanti l’avevano intimamente conosciuto, era quella di un morte in odore di santità e che non si sarebbe tardato ad occuparsi della sua beatificazione. I testimoni più rimarchevoli su questo punto sono… per esempio il cardinale Touchet: “Raramente ho incontrato qualcuno che mi abbia dato come lui l’impressione della santità. Ho celebrato la Messa per il vostro santo Superiore, con l’idea che sia stato lui a pregare per noi piuttosto che noi pregare per lui”. Il 4 settembre 1923, pronunciando il panegirico del Beato Garicoits a Bètharram, interpellò a due riprese il reverendo padre Saubat, pregandolo di occuparsi senza ritardo di questa nuova causa di beatificazione. Padre Cicognani scriveva a sua volta da Roma: “Padre Etchécopar era un santo; e i buoni Padri del S. Cuore hanno un intercessore in più in cielo”. (Padre Vitaliano Sauré)

 

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